SANREMO 2013: L’EDITORIALE DI CARLO FRECCERO PER DM. FESTIVAL TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE
di CARLO FRECCERO per DavideMaggio.it
Quando si lavora su una trasmissione che è anche un evento, un’istituzione, come ilFestival di Sanremo, piuttosto che Miss Italia o il Giro d’Italia, il compito del conduttore è officiare una trasmissione già codificata, rinnovarla lavorando sulla sua memoria storica. Questo lavoro sulla traduzione, per legarla e rinnovarla, è il meccanismo che permette di sopravvivere al concetto di tradizione e autore. Rinnovare il Festival di Sanremo significa partire: ma cosa caratterizza il Festival di Sanremo?
Rinnovare significa cambiare, ma anche enfatizzare il passato, conservarlo, contrapporre il nuovo all’esasperazione del vecchio. Il Festival di quest’anno è nuovo nella misura in cui cerca nuove strade, anche a livello musicale, dando spazio ai fenomeni emergenti sul mercato. Nello stesso tempo è tradizionale nella misura in cui ritaglia, ad ogni serata, uno spazio per gli aspetti più tipici, eccessivi, ridondanti, dell’estetica tradizionale dell’evento.
Quest’anno non sono in gara le vecchie glorie nazionali. Nonostante ciò ogni sera, accanto all’ospite internazionale di tendenza, c’è spazio per una gloria arci italiana: Toto Cotugno, (Ricchi e Poveri), Albano e Pippo Baudo. Il gusto nazionalpopolare sopravvive, ma, ancora una volta, in una bacheca di cristallo, che rende il kitsch accettabile, il cattivo gusto o comunque il gusto popolare un vezzo elitario perfettamente coniugabile con il nuovo.
Un’operazione ancora diversa riguarda la serata di ieri: qui le canzoni storiche, famose, vengono ripresentate, riarrangiate e re-intrerpretate dai nuovi cantanti. Lo straniamento non nasce dall’accostamento di materiali eterogenei, nuovo contro vecchio, ma piuttosto da un rinnovamento di un testo consueto trasformato in un testo di oggi, inaspettatamente canzoni che erano irrimediabilmente datate acquistano nuova vita e sensibilità.
Per quanto riguarda il conduttore, mi sento di esprimere la mia ammirazione per la professionalità di Fabio Fazio. Fabio non è un conduttore, o per meglio dire è sempre meno un conduttore. Pensiamo agli esordi, Fabio era un imitatore: come Crozza, come Fiorello, poteva continuare su quella strada al centro della scena. Nel corso del tempo la sua figura di conduttore diventa sempre più trasparente, invisibile, irrilevante. Sicuramente non è un gigione, un istrione e, ad una prima occhiata, la sua conduzione può apparire anonima e priva di contenuti e connotazioni rilevanti. L’immagine di Fabio Fazio che emerge dalla sua conduzione è un’immagine “politicamente corretta” equilibratamente anonima e, ad un’osservazione superficiale, irrilevantemente nel tempo ha assunto il ruolo di “spalla”. Spalla di Saviano, spalla della Littizzetto, estimatore anonimo ed entusiasta delle intelligenze che nei suoi programmi si mettono in mostra.
Fabio è l’ammiratore timido che sottolinea lo spazio incolmabile tra la sua conduzione e l’eccezionalità dell’ospite: la top model bellissima, lo scrittore geniale, il musicista eccelso. Tanta modestia copre un’operazione difficilissima in questa forma di un materiale eterogeneo. Fabio è sempre meno conduttore nella misura in cui matura come autore, burattinaio invisibile che garantisce al suo programma un’armonia, indipendente dai contenuti trattati. Tutte le trasmissioni di Fabio Fazio hanno una componente comune: la traduzione dei contenuti in un format ridondante. Il format è una griglia capace di funzionare indipendentemente dei contenuti. Meglio: una griglia capace di rendere digeribile qualsiasi cosa.